![](https://www.studioavanava.it/wp-content/uploads/2022/01/FOTO-DA-UTILIZZARE-scaled.jpg)
«Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità».
(27 marzo 1958, In Your Hands, Eleanor Roosevelt).
I tragici eventi che negli ultimi anni si sono susseguiti in Turchia ci impongono, come avvocati e colleghi di Ebru Timtik, l’obbligo di soffermarci e interrogarci sul ruolo dell’avvocatura nell’avanzamento dei diritti civili.
A febbraio 2020 Ebru Timtik ha iniziato uno sciopero della fame. Lo scopo era tenere viva l’attenzione sull’ irregolarità del processo e denunciare le condizioni di mancata dignità che oltre 300 avvocati stavano vivendo nelle carceri turche.
Ebru Timtik, assieme al collega Aytaç Ünsal, che versa tuttora in stato di pericolo, ha combattuto per la sua professione, diventata via via sempre più rischiosa. Dopo il fallito Colpo di Stato del luglio 2016, più di 1.500 avvocati turchi sono stati processati perché identificati con i loro clienti, e quindi accusati degli stessi crimini. La massima era: “Siccome difendi un sospetto terrorista, il governo ti considera un terrorista”.
Il 27 agosto 2020 Ebru Timtik è morta lottando per ottenere un giusto processo, denunciando l’illegittimità degli iter processuali, la politicizzazione della magistratura, il frammentarsi dello Stato di diritto. Si è fatta portavoce di quasi 300 colleghi detenuti, insistendo a che avessero diritto ad un trattamento nel rispetto delle regole di legge, che non fosse disumano e degradante.
Questi arresti si inseriscono in un clima di abuso del diritto e violazione dei diritti umani per combattere il quale Ebru è morta, avanzando rivendicazioni che non erano solo personali, ma collettive.
La drammatica vicenda turca – la morte dell’avvocata non sembra averne rallentato il tragico corso – impone a riflettere sul valore e il significato che oggi assume la professione forense.
Quando molti dei nostri colleghi sono costretti a subire persecuzioni e arresti per il solo fatto di aver adempiuto correttamente al loro mandato professionale, quale posizione dovremmo assumere per far valere il nostro ruolo nel e per l’avanzamento dei diritti civili?
L’ avvocato è un garante dei diritti e prima ancora è un cittadino che, in forza di una specifica preparazione professionale, è in grado di esercitare quella funzione di difesa che è dichiarata inviolabile, perché posta a garanzia dei suoi assistiti e dell’ordinamento stesso.
Una garanzia contro gli eccessi del potere, contro lo sviamento dai principi generali di ragionevolezza, buona fede e correttezza, contro la cattiva applicazione o disapplicazione delle leggi, contro l’abuso del potere esecutivo, contro gli errori del giudiziario.
Il ruolo garantista dell’avvocato è dunque tanto più rilevante dinnanzi a situazioni che paiano legittimare l’instaurarsi di uno “stato di emergenza”.
Quando si discute di emergenza, si discute di un fatto umano o naturale che turba la normalità giuridica, mettendo in luce la inadeguatezza dell’ordinamento nel fronteggiarla, al punto da rendere necessario attuare misure urgenti e straordinarie.
La necessità tuttavia non è un concetto oggettivo, ma implica un giudizio morale ed una valutazione soggettiva che tenga in considerazione il verificarsi o meno di un fatto eccezionale, la necessità di intervenire e la presunta inadeguatezza delle regole a far fronte a quel fatto nuovo.
La necessità presuppone altresì l’individuazione di un sovrano, che si assume la responsabilità delle conseguenze legate all’introduzione delle deroghe al regime ordinario, comprese quelle i cui effetti siano distorti al punto tale da modificare gli stessi equilibri di potere di governo.
L’emergenza costringe quindi a riflettere sui limiti del diritto e sulla modificabilità dell’ordinamento in situazioni di crisi, per trovare degli strumenti che permettano di superarla, senza ricorrere a misure d’eccezione esterne al sistema, oppure a situazioni di completa anomia, con gravi ingerenze nei diritti fondamentali. Dietro un siffatto status eccezionale, potrebbe infatti mascherarsi l’affermazione di diritti diversi o addirittura la negazione di valori fino a quel momento garantiti.
Nei casi permeati da uno stato di eccezione la cui dottrina più autorevole definisce assoluto, le decisioni politiche sono prive di limiti giuridici e l’intero ordinamento è sospeso, poiché sacrificato ad un emergenza che coinvolge la sicurezza nazionale e dunque la necessità viene asservita alle esigenze dello Stato.
Secondo un diffuso orientamento, la prassi degli Stati moderni occidentali è quella di voler creare una sorta di stato di emergenza permanente. Trascrivendo le parole del filosofo Giorgio Agamben, siamo di fronte ad una tendenza di generalizzazione della dichiarazione dello stato di eccezione come paradigma della sicurezza nazionale e contestualmente come tecnica normale di governo.
Le condanne e gli arresti che hanno interessato i nostri colleghi turchi sono il frutto di scelte politiche e riforme costituzionali che hanno legittimato lo stato di emergenza, la cui dichiarazione, ha consentito un massiccio concentramento del potere esecutivo nelle mani del Capo dello Stato e una forte compressione dell’indipendenza del potere giudiziario.
Sospensioni e radiazioni arbitrarie dall’albo degli avvocati caratterizzano anche Paesi come la Cina, l’Iran e la Repubblica dell’Azerbaigian, nei quali sono state adottate misure repressive nei confronti dei colleghi specializzati nella tutela dei diritti umani o comunque ritenuti scomodi per aver denunciato casi di tortura, fenomeni di corruzione o perché difensori di persone legate ai partiti politici dell’opposizione.
Ciò ha comportato drammatiche limitazioni alla libertà di espressione durante e successivamente l’intera campagna referendaria, e dunque inevitabili distorsioni al sistema giudiziario.
Al fine di scongiurare tale pericolo, lo stato di eccezione dovrebbe essere mitigato e controbilanciato di modo che lo Stato resti fedele alla Rule of Law.
Secondo la dottrina del “Supermajoritarian Escalator”, la dichiarazione di emergenza, così come il controllo sulla sua durata, dovrebbe rientrare nelle competenze del Parlamento, in quanto organismo di massima rappresentanza democratica. Poiché il rischio insito nel protrarsi della situazione straordinaria è sempre legato all’utilizzo distorto dei poteri concessi all’esecutivo, l’unico sistema di monitoraggio e di garanzia sembrerebbe essere quello di introdurre contrappesi addizionali, riconoscendo un ruolo chiave all’opposizione.
Per questo la libertà della difesa e dell’esercizio della difesa è essenziale, tanto per il rispetto dei diritti individuali (che in assenza resterebbero privi di tutela) quanto dello Stato di diritto, i cui cardini risiedono in una rigorosa indipendenza della magistratura e in una avvocatura libera, consapevole e professionalmente preparata.
L’esercizio della libera professione ha una dignità particolare, è espressione di autonomia, libertà di espressione e indipendenza. Il ruolo cui siamo chiamati a svolgere è garantire i valori democratici dell’ordinamento e pertanto è funzionale, in una società pluralistica, a costituire un freno agli squilibri sociali.
I Costituenti hanno riconosciuto l’essenzialità della difesa tecnica suggellandone il valore in seno all’art. 24 della Costituzione e a livello di fonti internazionali assumono rilievo centrale i Principi Fondamentali relativi al Ruolo degli avvocati, adottati dalle Nazioni Unite a l’Avana nel 1990, i principi della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e gli articoli 2, 14, 26 della Convenzione relativa ai diritti civili e politici.
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto la necessità di una rigorosa tutela degli avvocati in virtù del loro specifico status, rimarcando che “la libertà degli avvocati di esercitare la loro professione senza impedimenti è uno degli elementi essenziali di ogni società democratica e un presupposto essenziale per l’applicazione effettiva della Convenzione, in particolare per la garanzia di un processo equo e il diritto alla sicurezza personale”.
In virtù della normativa internazionale e della giurisprudenza comunitaria, sussiste un vero e proprio obbligo in capo agli Stati di protezione degli avvocati nell’esercizio della loro professione.
Il sacrificio di Ebru Timtik ci ricorda che il diritto deve sempre prevalere sulla forza bruta del potere e che in ogni caso il nostro ruolo ci chiama a spenderci, con dedizione e convinzione, in difesa del principio del contraddittorio e dunque dell’assetto democratico di un sistema.
Essere avvocati oggi impone una presa di posizione dinnanzi alle crescenti derive populiste, nazionali ed internazionali. La nostra funzione sociale e costituzionalmente riconosciuta va ricordata e tutelata, in difesa dello Stato di diritto e della democrazia.
Alla luce di tali considerazioni, una riflessione critica e ponderata su quanto il nostro ruolo possa contribuire al mantenimento dei pilastri di una società democratica appare estremamente doverosa. E perché ciò avvenga ritengo fondamentale che il dibattito sociale sulla professione forense torni a rivestire un ruolo primario all’interno e fuori dall’ordine della nostra categoria e che come cittadini e avvocati si prenda posizione sulle questioni politiche che interessano la nostra società, partecipando a un dialogo collettivo con spirito critico e razionale.
Il ruolo dell’avvocato nell’avanzamento dei diritti civili non è uno slogan, ma la consapevole affermazione di avere un compito fondamentale, a difesa delle libertà individuali e del bene comune.
E forse, soltanto dopo aver davvero riflettuto in questi termini sul ruolo della nostra categoria, sarà possibile rispondere alla domanda: quanto è importante vivere e agire politicamente?
Avv. Francesca Pepa